Marchio dop per il Cacio romano. La Coldiretti: “Riaprire il dossier”

Marchio dop per il Cacio romano. La Coldiretti: “Riaprire il dossier”

Marchio dop per il Cacio romano. La Coldiretti: “Riaprire il dossier”. L’associazione insiste e fa pressione sul governo affinché si riapra la partita riprendendo in mano il fascicolo da troppo tempo fermo sui tavoli ministeriali.

IL CACIO VINCE CONTRO IL PECORINO

Marchio dop per il Cacio romano

“La mancanza del riconoscimento del marchio Dop penalizza il Lazio. Una scelta che, invece, favorirebbe lo sviluppo del sistema zootecnico laziale, consentendo così l’utilizzo di una quota significativa di latte ovino, per la realizzazione di un prodotto di grande distintività e competitività sul mercato. A riguardo Coldiretti Lazio ha scritto una nota all’assessore regionale alle Politiche agricole, Giancarlo Righini. La valorizzazione dei prodotti Made in Lazio, sani, genuini e a chilometro zero – spiega il presidente della Coldiretti Lazio David Granieri – rappresentano anche un valido modo per contrastare il cibo sintetico, che mettono a rischio l’intera filiera agroalimentare e la nostra storia. Dietro i nostri prodotti, le ricette che vengono custodite e tramandate di generazione in generazione, c’è la nostra tradizione”.

CACIO ROMANO, RESTERA’ IL NOME

La Coldiretti: “Riaprire il dossier”

“La vocazione della produzione del Lazio è principalmente quella lattiero-casearia. Nella nostra regione – prosegue Granieri – sono presenti oltre cinquemila allevamenti ovini con più di 800 mila capi, un numero che rende il Lazio la terza regione in Italia per la consistenza di patrimonio ovino. Nel Lazio ci sono, infatti, 350 allevamenti con più di 500 capi, che da soli coprono metà della produzione regionale. Emerge nella nostra regione una maggiore concentrazione della produzione in allevamenti di grandi dimensioni rispetto alla media nazionale. Nel Lazio – conclude Granieri – il 5 per cento degli allevamenti, superiori a 500 capi, detiene il 52 per cento della produzione totale contro un 3 per cento di allevamenti superiori ai 500 capi, a livello nazionale, che si ferma a coprire il 29 per cento del patrimonio ovino nazionale”.

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